Non riesco a scrivere niente altro che non sia sull’India!
Sono stata a Cuba, in Messico, in Iran, in Egitto, mete altrettanto belle ed affascinanti, forse qualcuna un pò meno come la tanto sponsorizzata Cuba, ma non tali da suscitare emozioni anche al solo pensiero.
La mia prima volta in India è stata nel 2000, viaggio organizzato da mio marito Giorgio, ostacolato fortemente da me, che dell’India mi ero fatta un’idea completamente sbagliata. Forse ero stata influenzata da persone, i tipici Turisti e non i veri Viaggiatori, che ritornate da lì, descrivevano solo la povertà, la sporcizia, la desolazione, non comprendendo quale sia la vera bellezza dell’India. La bellezza della gente che pur non avendo niente sorride sempre alla vita!
Ho un ricordo vago dell’aeroporto di Delhi, brulicante di persone, fumoso, con un’aria irrespirabile, quella che ti accompagnerà sempre da nord a sud, un misto di fiori, spezie, incenso, sandalo e fogna.
La tentazione immediata è quella di riprendere l’aereo e di ritornare indietro subito, ma se resisti non te ne pentirai, magari riuscirai a creare una sorta di complicità, un legame strano, quasi un cordone ombelicale difficile da tagliare.
Il nostro viaggio prevedeva il tour del Rajasthan rivisitato e corretto avendolo costruito “su misura”, con appendice a Kajouraho e Varanasi, una delle città sacre, meta degli Induisti che nel fiume Gange, chiamato Madre Ganga, si purificano, raggiungendo il karma.
Da buoni occidentali, avevamo previsto i pernottamenti nei palazzi dei maharaja, ex sontuose residenze trasformate in lussuosi alberghi di grande fascino, di enorme charme, con un non so che di misterioso e di esotico. Una meraviglia!
Certo, fortissimo è il contrasto tra la povertà da una parte e lo splendore e lo sfarzo dall’altro! Ma l’India è così: convivono miseria e ricchezza nello stesso vicolo, nella stessa strada, con incredibile naturalezza.
E così, sia a Jaisalmer, che appare come un miraggio dopo chilometri di deserto abbarbicata su uno spuntone di roccia, che a Bikaner, che a Jodpur la “città blu” che a Jaipur la “città rosa” ci beiamo di vivere come in un sogno tra sete, organze, affreschi, arazzi, intarsi, mobili, tutto di una bellezza mozzafiato.
Ed arriviamo a Udaipur la “città del sole nascente”, forse la città meno conosciuta dai più e forse anche la più piccola ma senz’altro la più deliziosa e la più affascinante e ci arriviamo il giorno del mio compleanno. Ma non è stato un caso… Tutto studiato da Giorgio, inconsapevole artefice di questo mio amore per l’India. Sapevo che il nostro hotel sarebbe stato il Lake Palace, ex residenza estiva dei potenti maharaja, sapevo che era considerato uno dei sette alberghi più belli e prestigiosi del mondo, ma non potevo certo immaginare quello che di lì a poco avrei visto!
Il pulmino, attraversata Udaipur, facendosi largo tra vacche lente e padrone della strada, cani, pedoni indisciplinati, carretti, bici, si dirige verso il lago Pichola. Resto senza fiato. Dalle acque sembra emergere questa costruzione candida, bellissima, che sembra una nave. Ammutolita, mi lascio trasportare dalla piccola imbarcazione messa a disposizione dall’albergo, scattando foto su foto, 10, 20 foto, forse per la paura di non riuscire a cogliere e riportare in Italia tutta la magia di quel posto. Cinque minuti di barca ed ecco che attracchiamo, entriamo nella hall.
E mi vengono incontro con una torta! Stupefatta e stordita, non riesco neanche a ringraziare nel mio stentato inglese, mi guardo intorno ed ammiro ogni angolo, cercando di memorizzare il più possibile di questo posto incantato. L’albergo è a pianta rettangolare, costruito attorno ad un magnifico giardino, un’esplosione di profumi e di colori, che ti inebriano, quasi ti drogano. La nostra camera, al piano terra, è a pelo d’acqua. Dalla piccola piscina rivestita di marmi e riparata da un albero di mango, si gode un panorama incomparabile: si vede il City Palace, ex residenza fortificata trasformata in museo che domina dall’alto della collina, si intravede il Tempio dell’Elefante, magnifico nella sua semplicità. Dalle terrazze dell’albergo, arredate con divani e tavolini indiani, ridondanti di colori e di decorazioni dorate, lo sguardo si perde nel lago fino a scorgere un piccolo isolotto, trasformato anni prima in set per il film “Octopussy”. L’atmosfera diventa ancora più surreale quando, al calar del sole, il palazzo viene illuminato. Lo ammiro dalla terraferma, estasiata, incredula che tanta semplice bellezza possa evocare emozioni così forti…
Mi ritrovo nella sala da pranzo, accolta da un cameriere che mi offre un mazzo di fiori profumatissimi, intonando insieme all’orchestra la tipica canzone di auguri. Nessuna parola è adatta a descrivere il mio stato d’animo in quel momento!
Mi rimane solo un bellissimo ricordo, indelebile…