Da Leon al Cebreiro
Di fianco al magnifico Parador di Leon, antico ospizio dei pellegrini e ora hotel di lusso, passa il rio Bernesga che bisogna attraversare su un antico ponte. Da lì inizia il Camino in direzione Astorga. L’uscita da Leon rispecchia i soliti problemi del superamento delle periferie. Si passa di fianco al solito aeroporto, inutile come i precedenti. (dico inutile per i pellegrini che potrebbero raggiungere il camino da lontano con qualche low cost) in quanto come Logrono, Burgos e lo stesso Santiago, è praticamente monopolio della compagnia di stato “Iberia”, che, come Alitalia in Italia, si guarda bene di applicare tariffe low cost.
All’altezza dell’aeroporto , sul bordo destro della strada, si può ammirare il santuario della “Virgin del Camino”, rifacimento moderno della antica costruzione. L’attuale, opera di un famoso architetto presenta come caratteristica sulla facciata, le statue in bronzo dei 12 apostoli più quella della vergine alte circa 6 metri. Sinceramente non mi ha entusiasmato un gran che. Superato l’aeroporto, si arriva ad un terribile incrocio con l’autostrada che va ad Oviedo. Quando siamo capitati noi, il Camino era segnalato malissimo ed infatti ci siamo persi fra le rampe dell’autostrada. Consiglio vivamente di accertarsi sulla segnalazione e al limite di superare l’autostrada camminando sul bordo della N. 120 per poche centinaia di metri , poi tutto diventa facile.
Facile ma parecchio noioso perché da qui inizia il “Paramo”, antico nome per chiamare un altipiano. Al termine della tappa si incontra Villadangos del Paramo. Teatro di una sanguinaria battaglia nel 1111 fra la regina Urraca e suo figlio Alfonso VII contro le truppe aragonesi di Alfonso I, suo ex marito. Evidentemente le liti coniugali a quei tempi finivano anche peggio di oggi. Come in tante altre occasioni anche questa volta viene invocato come protettore: Santiago Matamoros del quale una delle statue più belle si trova proprio nella chiesa di Santiago di Villadangos. Il problema è che di solito si trovavano di fronte Cristiani e Moros, in questo caso invece il povero Santiago si sarà trovato in un grande imbarazzo !
Da Villadangos ad Astorga sono altri 26 Km. abbastanza noiosi tranne per una delle icone più famose che si trova circa a metà: mi riferisco al ponte di Orbigo e alla sua leggenda. “Pillola”
Astorga è una bella e nobile città. Avvicinandosi si vedono subito le guglie della sua cattedrale e le sue mura, segno evidente di un passato glorioso e battagliero. Nata su vie romane, all’incrocio di alcuni rami del Camino, ha sempre rivestito una discreta importanza anche prima e al di fuori dello stesso. Oltre alla cattedrale si può visitare il palazzo episcopale, opera significativa di Gaudì. Al suo interno ha trovato posto un piccolo ma importante museo del Camino.
Da Astorga, dopo un’altra lapide che ricorda un pellegrino che non ce l’ha fatta, si entra nella “Maragateria”. E’ così chiamata questa regione con usi , costumi, aspetto e addirittura specialità culinarie proprie. Come esempio intatto di costruzioni maragate, il paesino di Castrillo de los Polvazares è sicuramente il più significativo. Qui le case sono costruite tutte con pietre di un acceso colore rosso mattone, ma non solo le case, anche la pavimentazione delle strade è assolutamente monocolore !. Quello che è più impressionante che tutto il paese e tutte le strade sono conservate così.
I Maragati (il loro nome è di incerta origine, qualcuno lo fa derivare da un incrocio tra Mauri e Goti) hanno conservato usi e vestiti tipici. Le donne portano ancora bellissimi orecchini e gioielli in oro e argento, ma il pezzo forte della tipicità maragata è il “cocito maragato”. E’ un piatto pesantissimo che si mangia a fasi: dapprima vari pezzi di carne bollita di pollo, maiale, sangue, orecchie e cartilagini di maiale. Se si sopravvive a questo, arriva la seconda fase: il ripieno, formato da un impasto di pane, aglio, prezzemolo, sangue, prosciutto, uova ; se non siete ancora in coma ecco la terza fase : le verdure sempre bollite nello steso brodo: piselli, ceci, cavolo e verdure varie; come gran finale, ecco il brodo ove è stato cucinato tutto il precedente !
Naturalmente la sera della tappa a Rabanal del Camino non mi sono fatto mancare questa abbuffata.
Rabanal è un’antichissima cittadina piena di legami con il Camino. La sua “sirga peregrinal” è lunga, rettilinea e tutta in salita. Da qui comincia l’ascesa al monte Irago, che porta ad uno dei punti più alti e tipici del Camino. La affronto preoccupato per i vari racconti letti, ma soprattutto per il postumi del cocito della sera prima. La salita a Foncebadon si dimostra invece molto meglio di quanto pensassi. In cima al passo, ora ben soleggiato, rivivo l’altra volta, tanti anni prima, quando sono passato in mezzo alla bufera di neve.
Ormai dell’importanza di un tempo, quando erano attivi numerosi ospizi e chiese, non rimangono che poche tristissime rovine.
Poche centinaia di metri più avanti si raggiunge il passo. Esso è caratterizzato da un’altra misteriosa icona del Camino. Si tratta di un lungo palo di legno infisso in terra, alla cui estremità superiore è fissata una modestissima croce di ferro. La base del palo è nascosta da un mucchio di migliaia di pietre lanciate dai pellegrini secondo una tradizione che risale a migliaia di anni ancora prima del Camino. Probabilmente questi mucchi di sassi servivano ad indicare divisioni territoriali, come tutt’oggi si ritrovano in alcune campagne nei muretti a secco, che non servono certo a impedire l’ingresso a chi lo volesse, ma anche perché questo è un antico modo di pulire il terreno dai sassi che rendono difficile la sua coltivazione.
Poco dopo si ritrova un fatiscente rifugio e accanto una specie di bar gestito da uno strano personaggio che dice di essere l’ultimo dei cavalieri Templari. Il posto non è niente di speciale e non troppo pulito.
Comincia una discesa abbastanza ripida che ci porta dopo pochi Km al paesino di El Acebo.
Nel passato godette di privilegi impegnandosi a piantare 800 aste di legno per segnalare il sentiero. Alla sua uscita un momento di tristezza ci coglie vedendo il monumento con una bicicletta, dedicato ad un pellegrino tedesco che qui perse la vita, come tanti, del resto, inutilmente, lungo questo Camino.
La discesa si fa più dolce, con Molinaseca e il suo bel ponte romanico, si raggiunge il fondo valle e pochi Km. dopo si raggiunge la meta di questa tappa che è Ponferrada. Il nome evoca il ponte rinforzato di ferro che attraversa il rio Sil, attraversato il quale si raggiunge il magnifico castello dei Templari.
Finalmente un posto ove la presenza dei Templari non è messa in dubbio; d’altronde come si potrebbe, il loro castello è il più bello e meglio conservato fra tutti gli edifici templari in Spagna. Usciti da Ponferrada si cammina per alcuni Km sul bordo di una strada secondaria. Improvvisamente sentiamo un rumore assordante, ci voltiamo di scatto in tempo per vedere tre cavalli con relativi cavalieri che scendono all’impazzata e ci sfiorano superandoci. La paura è tanta e concreta, riesco solo ad immaginare che cosa poteva provare un povero soldato di fanteria , non importa in quale battaglia, dai romani all’ultima guerra, quando si vedeva caricato da quella specie di mostro iurassico formato dal cavallo e dal cavaliere armato di tutto punto. Penso anche che possa essere per caso Santiago Matamoros che vuole fare a pezzi questo miscredente del sottoscritto. Non faccio in tempo ad esaurire tutto il repertorio degli insulti e delle maledizioni lanciate al loro indirizzo, quando uno dei cavalli, con i suoi ferri lucidissimi, scivola su una lastra di pietra del selciato, prende uno sbandone pazzesco e proietta il cavaliere con la velocità della luce a 10 metri di distanza contro lo spigolo del marciapiede. Una botta terribile alla schiena ! Pensavo sinceramente che fosse morto. Ma avvicino immediatamente (sono medico e per giunta traumatologo) e, dopo essermi accertato che fosse ancora vivo, mi accingo a prestargli le prime cure quando veniamo raggiunti da alcuni suoi amici con un pulmino di appoggio che lo caricano e se lo portano via.
Il Camino che porta a Villafranca del Bierzo corre in una verde campagna senza alcuna difficoltà. La città ha assurto grande importanza da quando, nel 1458, un papa spagnolo (Callisto III) concesse alla chiesa di Santiago che si incontra poco prima dell’ingresso alla città, un grandissimo privilegio: i pellegrini infermi che non riuscivano a raggiungere Santiago, una volta passati attraverso la sua magnifica porta laterale (la puerta del Perdon) avrebbero avuto la dispensa di raggiungere Santiago ma contemporaneamente la remissione di tutti i peccati e tutti gli altri dono spirituali, come se realmente avessero raggiunto il sepolcro dell’Apostolo.
Si lascia Villafranca lungo la sirga peregrinale, che curiosamente qui non si chiama calle de Santiago o in alternativa calle dos pelegrinos, ma “calle del Agua”. Per i primi 10 km. circa vi sono due alternative del percorso, una molto bella in mezzo ai boschi, ma con una dura salita e un’altrettanto dura discesa, per giunta molto più lunga. La seconda purtroppo obbliga a seguire il bordo della nazionale. Non ce la sentiamo però di metterci nelle gambe una bella faticata e preferiamo mantenerci le forze per la vera salita, quella del Cebreiro. Così, dopo un terribile e buio tunnel stradale, ci infiliamo nella stretta vallata del rio Valcarce, camminando a volte di fianco e a volte addirittura sotto le ampie travate in cemento dell’autostrada. Per fortuna questo tormento termina dopo meno di 10 Km. e il Camino riprende la sua fisionomia passando attraverso paesini carini e tranquilli. In uno di questi : Herrerias, si trova un quartiere chiamato Hospital Inglès pare fondato nientemeno che dal re inglese Enrico II Plantageneto nel 1177. Qui comincia la vera salita, passando per minuscoli paesi come La Faba e più su Laguna de Castilla che segna la fine della provincia di Leon e della Castiglia.
Pochi Km ancora di dura salita e finalmente si raggiunge il mitico Cebreiro. “Pillola”