La meseta ormai è in agguato, ci aspetta inflessibile.
Per più di 200 Km non avremo altro che distese ondeggianti di grano con qualche alberello stentato e paesini praticamente invisibili. La maggior parte dei pellegrini ad eccetto degli integralisti, salta sul treno a Burgos e ne scende a Leon. Noi non siamo certo integralisti ma preferiamo comunque affrontarla e alla fine siamo stati ripagati. Anch’essa ha il suo fascino e le sue prerogative. I paesini che si incontrano sembrano rimasti al medioevo, tutti con la loro sirga peregrinal, la chiesa con il suo campanile e i resti degli Hospitals. Essi sono di solito situati in piccole vallette protette dal vento, tanto che fino all’ultimo chilometro sono praticamente invisibili.
E’ quello che ho chiamato “effetto montacarichi”: man mano che si cammina e ci si avvicina, si comincia a scorgere la guglia del campanile, poi, avanzando, (in realtà scendendo), la percezione è che il paesino venga sollevato da un gigantesco elevatore che pian piano lo fa apparire.
A circa metà strada da Fromista, raggiungiamo, poco prima del magnifico ponte di Itero, l’eremita di S. Nicolas. E’ una piccola eremita restaurata e gestita a cura della confraternita di Perugia.
A Fromista ci fermiamo ad ammirare la chiesa di San Martin, considerata una delle più belle chiese romaniche della Spagna.
Fra Fromista e Carrion de los Condes è obbligatoria una sosta alla chiesa di Santa Maria la blanca, di Villacazar de sirga. Il suo impianto è di chiara origine templare. Al suo interno è conservata una statua della Virgen Blanca alla quale sono stati attribuiti numerosissimi miracoli.
A Carrion de los Condes dormiamo del convento di S. Zoilo ora trasformato in Hospederia. Dopo Carrion de las Condes si assaggia la “vera meseta”. I 15 Km fino a Calzadilla de la Cueza corrono su quella che è ancora una strada romana: la via Traiana che portava da Bordeaux ad Astorga: diritta, senza un albero o quasi per 15 Km !. Non si sa se invocare la pioggia con il rischio di impantanarsi o se proseguire sotto un sole cocente.
Al pomeriggio, sotto un sole implacabile, raggiungiamo Sahagun. Cittadina carica di storia, con monumenti importanti da visitare accuratamente. Dopo la doccia e una breve sosta, prendiamo alloggio in un piccolo albergo che ha anche una sala ristorante. Con un po’ di diffidenza ma costretti dalla mancanza di alternative, ci fermiamo a cena. La sorpresa è stata grande in quanto era tutto squisito, compreso il vino ed il pesce. Ancora una volta ci chiediamo come in una sperduto paese all’interno della Spagna , lontano centinaia di Km. dal mare, si possa mangiare del pesce così buono: Non è la prima volta, è già accaduto in molti altri posti.
Il fiume che passa per Sahagun viene riportato nella leggenda del ciclo di Carlomagno quando , nella battaglia avvenuta sulle sue rive perirono 40.000 soldati cristiani, dopo che le loro lance furono trovate fiorite di foglie e fronde. Il giorno successivo è un’altra tappa della sempre uguale e sempre diversa meseta. Camminiamo lungo un interminabile rettilineo a fianco del quale sono stati piantati a distanza regolare degli alberi. L’intento è quello di dare ombra ai passanti, ma, a giudicare dalle loro dimensioni attuali, la loro ombra verrà goduta dai nostri nipoti. Per ora bisogna continuare a soffrire. Ce lo ricorda anche un’altra delle tante lapidi che ricordano qualche pellegrino che non ce la fatta. Come se non bastasse è proprio da queste parti che Laffi racconta di aver trovato due lupi che stavano sbranando il cadavere di un pellegrino !. Superato El Burgo Raneros Il Camino continua uguale senza particolari emozioni fino a Mansilla de las Mulas.
Mansilla è una graziosa cittadina conosciuta per le sue mura e per le numerosissime cicogne (non che dalle altre parti manchino). Il giorno successivo ci aspetta l’ultimi tratto di meseta. Lo superiamo facilmente sia perché breve sia perché finalmente l’ultimo.
Leon è una bella città, piena di monumenti, di vita e di movida. Dopo aver visitato la stupenda cattedrale, alla sera giriamo per il centro storico. Le viuzze sono letteralmente piene di gente che mangia tapas e beve vino, in piedi perché non c’è un posto nei tavolini dei bar. Il clima alla sera è piacevole e anche noi ci allineiamo alle abitudini della gente del posto. Incrociamo una compagnia di francesi ai quali avevamo consigliato il ristorante di Sahagun e che ci ringraziano del consiglio. La notte la passiamo in una modesta pensione e non al magnifico Parador dove eravamo stati nel viaggio precedente.